Maia Portrait with Hands

L’origine di un popolo, di una cultura, è la sovrimpressione dei passaggi, dei paesaggi, degli elementi plurimi che ha attraversato, nel tempo e nello spazio. E’ la loro contaminazione, il loro mescolarsi sino al punto da confondere i punti di partenza, che molto raramente sono monolitici (specie nel continente europeo), essendo frammentati e disseminati nell’evolversi storico, costituendone il divenire, il farsi radice.

Gli Aromuni vengono da quelli che oggi sono territori che appartengono all’Albania, alla Grecia, alla Bulgaria e alla Romania, e nel tempo sono migrati attraverso la parte centro-meridionale dei Balcani stabilendosi infine in Romania. E’ da questa cultura che viene Alexandra Gulea, figlia del regista Stere Gulea, diplomata all’Ecole Nationale Supérieure des Beaux Arts di Parigi nel 1997, pittrice e cineasta: ha all’attivo vari cortometraggi e due lunghi, tra cui il suo ultimo, Maia – Portret cu maini (Maia – ritratto con mani) presentato in anteprima a Rotterdam. Un ritratto della nonna, omonima, che funge da specchio e da prisma. Specchio dell’Alexandra che fa un film per misurare la propria eredità e ritrovare una propria identità (attraverso la lingua della nonna, che parla esclusivamente aromuni), e prisma di un secolo di storia di un popolo (gli Aromuni appunto) e di un paese (la Romania) che si sovrimprimono nell’impossibilità di tracciare linee di demarcazione nette, in chiave squisitamente antinazionalista, senza proclami, attraverso un discorso in cui a parlare sono le immagini e le memorie, quelle del repertorio personale di famiglia e quelle del repertorio storico, mosso da una sensibilità e un’intelligenza tutte femminili, dolcemente penetranti, dove gli elementi (i sogni, i simboli, le cose, i volti, i canti) vengono portati in campo sentimentalmente, empaticamente, in una relazione intima, la cui forza sta proprio nel suo esibirne la fragilità, la sua apertura, la sua capacità rigeneratrice. La scelta di una donna semplice da cui partire per raccontare una cultura ha in se qualcosa di radicale e rivoluzionario rispetto alla tradizione storica a cui siamo stati abituati fino all’inizio del XX secolo, quando alcune figure chiave (basti pensare a Marc Bloch…) aprirono nuovi sentieri di ricerca, ma che la cultura contemporanea sembra aver dimenticato, ritornando alle istanze verticistiche del XIX secolo (l’ossessione spettacolare per i “leader” di turno o per i monarchi inglesi, per esempio, ne è uno dei più evidenti e inquietanti segnali). La scelta di Gulea ci aiuta per esempio a cogliere più precisamente qualcosa di reale in quella storia, una verità che spesso viene filtrata dalla dinamica dei giochi di potere (quasi esclusivamente maschili), di scontro duale, di prepotenza identitaria. In questo senso Maia – Portret cu maini ci mostra come il conflitto sia uno stratificarsi, un sovrimprimersi di molti elementi, di immagini che non vediamo del tutto, che non possiamo vedere o che il film contrasta con le proprie, che mostrano un conflitto meno ovvio, meno banale, più profondo, attorno alla questione dell’identità, dell’eredità, che comporta un confronto e un accoglimento di forze e dinamiche anche dolorose, anche traumatiche, ma che rappresentano la ricchezza di una cultura, la sua vivacità, la sua capacità di trasformazione, di messa in discussione.

Il film incarna tutto questo nella propria forma, tutt’altro che canonica, attraverso un lavoro di ricerca, di scavo e di costruzione, senza lasciarsi ammaliare da facili giochi estetici o intellettuali, rimanendo attaccato alla necessità fortissima di trasformare e connettere gli elementi da cui attinge, restituendone la dignità e il senso, attraverso un uso della sovrimpressione che fa pensare a Jean Vigo e a Jean Epstein, per esempio, più che a Godard (quello delle Histoire(s) du Cinema). E’ così che il film di Gulea avanza, a suo modo leggero, come il vestito di velluto che la nonna di Alexandra ha ricevuto per il matrimonio e che ha lasciato in eredità alla nipote, facendolo in qualche modo indossare al film, portandolo in giro, e filmandolo lungo il sentiero che immaginiamo l’Alexandra di inizio ‛900 abbia percorso a piedi, restituendone una visione, una possibilità. Ci si mette un po’, almeno metà film, per capire che quel vestito che vediamo ‛camminare’ ripreso da dietro non contiene alcun corpo, ma è il fantasma che permette al film di avanzare, a suo modo scespiriano, di svelare le ragioni politiche che hanno portato il padre della nonna a emigrare verso l’attuale Romania, morto per difendere i diritti dei più deboli di fronte alla barbarie nazionalista. Memoria personale quindi e memoria collettiva sovrimpresse e inscindibili. Identità, territorio, migrazioni (anche estetiche: dall’arte, al teatro, al cinema). Gulea ci riporta qualcosa di straordinariamente ampio, che tocca per esempio uno dei grandi temi con cui tanta parte di umanità ha a che fare, arrivando a scatenare guerre e persecuzioni: l’origine. Svelando come questa origine sia sempre impura, come il cinema. E impura è l’arte di Gulea, il suo cinema alla ricerca di una immagine originaria (la nonna, di cui porta il nome) che tuttavia rilancia il mistero (questo si, originario) della nascita non solo di ogni immagine, reale o simbolica, ma della funzione che le immagini hanno nella nostra cultura, quella personale come quella collettiva (poiché le due dimensioni non sono scindibili, non sono separate come vorrebbe farci credere una certa propaganda economica). Maia – Portret cu maini ci lascia alla fine con più domande di quante ne avevamo, lasciandoci la responsabilità di formulare delle risposte possibili (mutevoli, aleatorie, provvisorie, aperte). Ci invita a vedere l’apertura che il sistema di potere della trasmissione del sapere cela, perché nell’apertura di campo il dominio è costretto a mettersi in gioco e non può trincerarsi dietro verità acquisite o formule di facile utilizzo. Alexandra Gulea, in prima persona, si mette in gioco e gioca, col cinema, una partita a perdere, senza la paura di rimanere nuda di fronte al quel gioco che chiamiamo realtà. Donatello Fumarola (Alias, 10/2/2024)

Programmazione

20 Novembre 2024 - 16:00

Anno

2024

Durata

90'

Nazione

Romania, Germania, Francia

Alexandra Gulea

Alexandra Gulea (1970, Romania) ha studiato all’Accademia d’arte di Bucarest e si è laureata con lode all’Ecole Nationale Supérieure des Beaux Arts di Parigi nel 1997.

Ha proseguito la sua formazione alla Munich Film School dove ha studiato cinema documentario.

I suoi film sono stati proiettati a livello internazionale, tra cui Sarajevo, Rotterdam e Lipsia.

Il suo cortometraggio Flying Sheep (2022) ha vinto un premio al Festival internazionale del cortometraggio di Oberhausen 2022.

Maia – Portret cu maini (2024), è il suo secondo lungometraggio. E’ figlia del regista Stare Gulea.